moja polska zbrojna
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L’unico Corpo fatto così

“Soldati! Miei cari Fratelli e Figli! È arrivato il momento della battaglia. Abbiamo aspettato a lungo questo momento di rivalsa e di vendetta contro il nostro eterno nemico. Accanto a noi combatteranno divisioni britanniche, americane, canadesi, neozelandesi, combatteranno i francesi, gli italiani e le divisioni indiane”.


Soldati dell’Armata Polacca nell’Oriente, in Palestina, anni 1942 – 1943

Queste sono le parole del generale Władysław Anders, il suo ordine dato prima dell’assalto delle truppe polacche a Montecassino, punto di incontro della Linea Gustav tedesca che proteggeva trasversalmente rispetto agli Appennini l’accesso a Roma. L’assalto fu eseguito dai militari del II Corpo Polacco, i quali negli anni 1944 – 1945 combatterono contro i tedeschi in territorio italiano, partecipando alle battaglie di Roma, di Ancona e di Bologna.

Strada per Montecassino

Non per caso la battaglia di Montecassino viene chiamata la battaglia delle nazioni. Ci furono più nazioni rispetto a quelle elencate dal generale Anders nel suo ordine, però tenuto conto di tutte le formazioni in cui prestavano servizio i militari di tutto il mondo, il II Corpo costituiva un fenomeno particolare. Nessuno fra i corpi militari importanti che parteciparono alla battaglia ebbe alle proprie spalle un inferno così orribile come quello vissuto prima dai polacchi. Il mondo della maggior parte di loro crollò il 17 settembre quando l’esercito sovietico attaccò i voivodati orientali della Polonia, per aiutare i tedeschi nell’opera di distruzione della Repubblica di Polonia. Improvvisamente migliaia di famiglie di cittadini polacchi, pure di nazionalità diverse, furono buttate fuori casa e trasportate al malfamato Arcipelago Gulag, per morire nei campi di concentramento russi – lager, al disboscamento della taiga, nel circolo polare oppure nelle steppe desertiche di Kazakistan. Sembrava che ai miserabili polacchi toccasse solo di morire di fame e di debolezza.

Il cambio della sorte arrivò come un miracolo improvvisamente dopo lo scoppio della guerra tedesco-sovietica nel giugno del 1944, quando gli alleati di prima, il Terzo Reich e l’Unione Sovietica, diventarono nemici mortali. Poco più di un mese dopo, il primo ministro polacco e al contempo comandante supremo, rifugiato a Londra, generale Władysław Sikorski, portò alla stipula di un accordo ufficiale di alleanza con il governo sovietico in seguito al quale, sul territorio dell’URRS, doveva essere creata l’armata polacca, composta di migliaia di cittadini della Repubblica di Polonia liberati dai campi, dalle prigioni e dai luoghi di deportazione. Suo comandante fu nominato il generale Władysław Anders, liberato dalla malfamata prigione della Lubjanka a Mosca, che stava ancora guarendo dalle ferite subite nel combattimento contro l’Armata Rossa nel settembre del 1939. Suoi soldati stavano per diventare le persone a cui il 17 settembre 1939 fu portata via ogni speranza. Nei campi in cui doveva essere formato l’esercito polacco, iniziarono ad affluire ombre di persone vestite di stracci. Tanti morivano durante il viaggio oppure nell’attimo di felicità quando vedevano sventolare la bandiera bianca e rossa sopra il cancello del campo militare. C’erano anche quelli a cui la notizia della formazione delle truppe polacche non arrivò e rimasero prigionieri sovietici. Con coloro che risorsero nelle divise polacche, il generale Anders cominciò a creare l’Armata Polacca in URSS. Non gli fu possibile però entrare alla guida della sua armata in Polonia percorrendo la strada più corta, camminando direttamente a ovest. Le macchinazioni di Stalin e gli interessi britannici in Iran fecero sì che l’armata polacca fosse evacuata dalle repubbliche meridionali dell’URSS dell’Asia centrale verso il Vicino e Medio Oriente. Fino al settembre 1942 in Iran furono portate più di 115 mila persone, tra cui circa 78,5 mila militari e 37 mila civili, famiglie dei militari, era il numero massimo concesso dai russi, qualche centinaio di migliaia di persone rimasero in URSS. Tra gli evacuati c’erano 18 mila bambini! Le persone salvate furono grate al loro comandante fino alla fine della loro vita per averli strappati da una terra disumana. In Iraq e in Palestina i soldati che vagabondavano dispersi furono uniti all’élite dell’Esercito Polacco, i fucilieri “dei Carpazi” famosi per la difesa di Tobruch e per la campagna di Libia. I “Buzuluki” (Buzuluk è una città russa in cui, a cavallo tra 1941 e 1942 vi aveva sede il comando dell’Armata Polacca in URSS) insieme ai “Ramses” del Vicino Oriente, crearono la nuova Armata Polacca nell’Oriente. Proprio da questa, nel luglio del 1943, fu estratto il II Corpo che, sotto il comando del generale Anders, ancora nel dicembre del 1943, si trovò sugli Appennini occupati dai tedeschi. Grazie alle indicazioni del generale Anders, fra le truppe polacche venivano accolti pure i polacchi che erano stati prigionieri oppure disertori da Wehrmacht, perché itedeschi, nel 1939, nelle terre occidentali polacche integrate nel Reich (Slesia, Grande Polonia, Pomerania) svolsero la germanizzazione forzata dei cittadini polacchi e l’arruolamento nell’esercito.


Volontarie del plutone cartografico del II Corpo al cimitero militare polacca di Montecassino, il secondo anniversario della battaglia, maggio 1946

Il II Corpo divenne quindi una formazione di polacchi provenienti da tutto il territorio della Repubblica di Polonia però le tradizioni dell’est, dei Kresy orientali erano quelle prevalenti, sia per quanto riguarda i nomi delle unità militari, che per le tradizioni reggimentali. I membri delle truppe corazzate appartenenti al Corpo assegnavano ai loro carri armati nomi propri, tra cui quelli più diffusi erano i nomi dei due capoluoghi dei voivodati orientali della Polonia – Leopoli e Vilnius. Sotto i nomi effettuarono il loro cammino da una vittoria verso l’altra, iniziando dalla presa di Montecassino il 18 maggio 1944. Dopo ci fu ancora la battaglia di Ancona e la presa di Bologna. I soldati di Anders credevano che grazie alla campagna vittoriosa sarebbero riusciti a ritornare “dalla terra italiana alla Polonia”, come cantavano in Italia 150 anni prima i legionari che prestavano servizio alle repubbliche italiane. Il desiderio oggi lo ricordano le parole ricavate nella pietra al Cimitero Militare Polacco di Montecassino: “Passante, di’ alla Polonia che siamo caduti fedeli al suo servizio” e “Per la nostra e la vostra libertà noi soldati polacchi demmo l’anima a Dio, i corpi alla terra d’Italia, alla Polonia i cuori”.

“Bławaty” nel commando polacco

Le prime truppe commando durante la Seconda guerra mondiale furono create dai britannici e le formazioni diventarono presto élite delle forze alleate. Oltre ai commando britannici comparvero i commando francesi, greci, jugoslavi, e addirittura tedeschi ed austriaci che combattevano nelle file della coalizione anti-hitleriana. Pure nella compagnia commando polacca, che combatteva nelle file del II Corpo in territorio dell’Italia, c’erano soldati di altre nazionalità che si decisero a combattere sotto lo stemma dell’aquila bianca. All’inizio di dicembre 1943, la 1a compagnia commando indipendente, prima unità polacca durante la guerra, approdò al fronte italiano. I commando furono mandati all’Appennino Centrale, nella zona del paesino montano di Capracotta, ubicato sul fiume Sangro, che insieme ai fiumi Garigliano e Rapido formavano la linea difensiva frontale tedesca. Quando ai commando nella primavera del 1944 susseguì il II Corpo Polacco, le loro truppe cominciarono a ricorrere all’aiuto dei volontari italiani. Questi ultimi si presentavano ancora più volentieri perché i militari polacchi trattavano molto bene i civili italiani, portando loro cibo e assistenza medica. Ai polacchi al contempo mancavano i soldati per difendere le strutture militari, i ponti, le strade oppure i depositi. Questo permise la costituzione della 111° Compagnia pontieri, presso la 3a Divisione dei Fucilieri dei Carpazi. La Compagnia doveva costituire una truppa di guardia e di tecnica italiana, al comando dei polacchi. Gli effettivi diventarono i montanari della stessa zona nella quale operavano i commando polacchi, cioè dell’Abruzzo meridionale e del Molise nel territorio dell’Appennino Centrale. La Compagnia inizialmente constava di circa quaranta volontari italiani e di sette ufficiali e sottoufficiali polacchi. La battaglia di Montecassino durante cui il II Corpo subì enormi perdite nel corso dell’assalto, fu decisiva per quanto riguarda la sorte della truppa. Il comando polacco pensando a come colmare le carenze di truppe assottigliate dalla sanguinosa battaglia, si ricordò dei fatti dei montanari italiani che avevano servito i commando come guide e facchini. Questo ruolo lo rivestirono con successo pure a Montecassino. Fu quindi deciso di non sprecare la 111a compagnia per i compiti legati alla guardia, ma trasformarla in una truppa da combattimento, non solo – nella truppa commando. Dei compiti originali della compagnia ne fu lasciata solo la traccia nel nome, 111a Compagnia pontieri. Il nome originale doveva confondere i tedeschi per quanto riguarda i compiti effettivi della truppa e tranquillizzare le autorità alleate italiane che avrebbero potuto protestare contro l’arruolamento dei propri cittadini alle unità da battaglia straniere.


Soldati del II Corpo in Italia, secondo a destra fuciliere Brunon Jankowski

A metà maggio del 1944 la compagnia fu trasferita ad Oratino vicino a Campobasso in Molise, dove fu completata con ulteriori volontari della regione. Ci furono destinati anche ulteriori ufficiali e sottoufficiali della 3a Divisione dei Fucilieri dei Carpazi ed istruttori della 1a Compagnia Indipendente commando i quali iniziarono una formazione intensiva dei soldati italiani. Dopo la conclusione della formazione, nella seconda metà di giugno del 1944, la 111a compagnia constava di 68 volontari italiani e di 23 ufficiali e sottoufficiali polacchi. I polacchi svolgevano tutte le funzioni di comando dal livello della squadra in su. Capo della compagnia fu nominato l’ufficiale presente al fronte, tenente Feliks Kępa, e il suo sostituto sottotenente Edward Zalewski. Il soldato più giovane dell’unità, di appena sedici anni era Mino Pecorelli, il quale dopo la guerra diventò un avvocato e un giornalista famoso. Seguendo il modello della 1a compagnia polacca, quella italiana fu divisa per tre plotoni. I suoi soldati portavano divise britanniche e avevano l’equipaggiamento britannico. Dai compagni d’armi polacchi si distinguevano per il colore dei baschi. Piuttosto che portare i baschi verdi – portati generalmente nelle truppe dei commando – i commando italiani portavano baschi azzurri con le aquile polacche e con mostrine rosse con la parola Poland sul braccio. Col tempo si è creata l’usanza di chiamare i commando italiani “Bławaty” (Azzurri) facendo riferimento al colore dei loro baschi e il soprannome rimase appiccicato a loro fino alla fine del combattimento dell’Adriatico. Inoltre, informalmente, la 111a compagnia veniva chiamata la 2a compagnia commando oppure semplicemente la compagnia italiana. I risultati molto buoni della formazione influirono su un’ulteriore decisione del comando del II Corpo – dalla 1a Compagnia Commando Individuale e la 111a Compagnia pontieri fu creato il 1° Raggruppamento Commando al comando del quale stava il comandante precedente della 1a compagnia, maggiore Władysław Smrokowski.

Quando i volontari italiani si stavano intensamente allenando nel combattimento tipico dei commando, il II Corpo ricevette dal comando degli Alleati in Italia, un compito indipendente di condure l’offensiva verso Ancona. Il 1° Raggruppamento Commando fu inserito nell’operazione e il 21 giugno 1944 trasferito dal luogo di stazionamento ad Oratino alla tratta adriatica. Attraverso Monte Pagano e Porto San Giorgio all’inizio di luglio il raggruppamento arrivò alla linea del fronte sotto Monte Lupone. Il raggruppamento ottenne l’allocazione tattica presso la 2a Brigata Corazzata polacca, fu collocato a Castelfidardo però non partecipò alla prima battaglia di Ancona che si svolse nelle vicinanze. L’8 luglio il generale Anders collocò il raggruppamento alla 3a Divisione dei Fucilieri dei Carpazi. Entrambe le compagnie del raggruppamento presero posizioni nel tratto del fronte tra Villa Virginia e il ponte nei pressi di Numana, occupato dal Reggimento degli Ulani dei Carpazi, sotto il comando del quale fu introdotto il raggruppamento. Il giorno successivo la compagnia italiana ebbe il proprio battesimo del fuoco. I suoi due plotoni insieme al 1° squadrone degli ulani assalirono con bravura le colline di Monte Freddo e la 119a e la 107a occupate dal nemico. La conquista delle posizioni importanti da parte dell’intero reggimento dei Carpazi, fu pagato dalla Compagnia con la morte di due soldati. Un atto eroico nel corso del combattimento fu compiuto dal commando Attilio Brunetti, il quale sul Monte Freddo salvò il suo comandante ferito, sergente Zygmunt Piątkowski, portandolo sulle spalle per alcuni chilometri dalla linea del fronte. Brunetti fu premiato con la Croce di guerra polacca al valor militare.


Soldati della 3a Divisione Fucilieri dei Carpazi, dalla sinistra Antoni Łapiński e Ryszard Kaczorowski, l’ultimo Presidente della Polonia in esilio (1989-1990)

Il primo episodio di combattimento dei volontari italiani dimostrò quanto fossero ingiusti i pareri sul presumibilmente basso valore del soldato italiano, e le battaglie successive consolidarono la nuova fraternità d’armi polacco-italiana. Non per caso la prima unità che il 18 luglio 1944, nella veste della guardia anteriore del Reggimento degli Ulani dei Carpazi, entrò ad Ancona attraverso la porta Santo Stefano, fu la 2a compagnia commando.

Verso la fine di luglio 1944 le strade dei commando polacchi e italiani si divisero. La 1a compagnia polacca fu trasferita al sud d’Italia per una riorganizzazione, in seguito alla decisione della sua trasformazione nel 2° Battaglione Commando Motorizzati. Invece la compagnia italiana tornò sotto il comando del Reggimento degli Ulani dei Carpazi e combatté insieme ai suoi soldati fino alla conquista di Pesaro, avvenuta il 2 settembre 1944. In quel momento fu deciso di sciogliere la 111a Compagnia dei pontieri. La compagnia italiana rimasta sotto il comando polacco fino al 18 ottobre 1944 perse complessivamente quattordici soldati, tra cui dieci italiani, e 29 dei suoi soldati furono feriti. La testimonianza del riconoscimento del valore dei commando italiani fu l’assegnazione a loro, da parte del generale Anders, delle onorificenze militari polacche: tra i diciannove italiani premiati, diciassette ricevettero Croci di guerra polacche al valor militare (tra cui nove di loro post mortem), una Croce al merito con spade d’argento, due di bronzo.

Sorti polacche

Nel codice giapponese Bushidō fu scritta la seguente frase: “Non esiste una solitudine più grande di quella provata da un guerriero che è sopravvissuto alla battaglia ed è giunto alla fine del proprio cammino”. È vero. Un soldato a cui, dopo una battaglia sanguinosa, il Signore ha permesso di vivere, diventa un’altra persona. Sembra che le persone vivano due dimensioni parallele: il presente e il tempo della guerra passata, che continua a permeare il presente come un palinsesto. Non si tratta solo del trauma. Al contrario, i soldati portano in sé la tranquillità e la delicatezza dei mistici. Ho conosciuto persone fatte così – tutte, senza eccezione, sono state veterani del II Corpo polacco e hanno partecipato alla battaglia di Montecassino. Sono venuti al Corpo da diverse parti del mondo, le loro vite dopo la guerra hanno avuto corsi diversi, però dopo l’incontro con ciascuno di loro andavo via molto commosso, e al contempo sollevato dall’esperienza di aver avuto la fortuna di incontrare un uomo buono.

Tutti, senza eccezioni, all’inizio si dissociavano dalla parola “eroe”. “Gli eroi sono quelli che sono caduti, io no”, sentivo ogni volta. Ecco la modestia dei soldati e dei saggi che hanno guardato la morte in faccia. Il primo che ho conosciuto è stato il colonello Wojciech Narębski proveniente dalla Piccola Polonia, professore di geochimica e di petrologia a Cracovia. In Italia ha svolto il servizio militare presso la 22a Compagnia di rifornimento dell’artiglieria, resa famosa dal suo soldato, l’orso Wojtek che portava casse con le munizioni. Come scherzava il professore, per non confondere Wojciech con l’orso, i compagni lo chiamavano Piccolo Wojtek.

Dopo la liberazione dalla prigione sovietica nel 1941 non gli davano tante speranze di sopravvivenza. “Sono diventato soldato ma – prima di tutto – ero vivo, anche se sono partito come un rottame da quella terra disumana”, mi ha detto con un sorriso delicato salutandomi.

Ho trovato un altro veterano della 3a Divisione dei Fucilieri dei Carpazi a Rumia in Casciubia. Brunon Jankowski a Monte Cassino svolse servizio… presso Luftwaffe. Come polacco proveniente dalla Pomerania, fu arruolato forzatamente alla batteria antiaerea di Luftwaffe e si trovò nel fronte italiano. Durante l’inferno di Cassino scappò all’altra parte del fronte e si arruolò ai famosi soldati dei Carpazi. Diceva: “Mi ricordo come se fosse oggi, come sono saltato fuori del camion e ho visto la bandiera bianca e rossa su un palo lungo. Ho pensato a questo punto: Finalmente sono con i miei connazionali!”.

Dopo la Pomerania sono andato all’altro confine della Polonia, a Podhale, a Orawka nei dintorni di Nowy Targ. Lì, nel suo rifugio dopo tanti anni di vita raminga all’ovest, l’ha trovato Józef Kowalczyk, ulano del 12° Reggimento di Ulani della Podolia, i cui soldati per primi issarono il loro stendardo sulle rovine dell’abbazia come segno di vittoria. Alla domanda sulla battaglia di Montecassino, ha risposto fra le lacrime: “Ricordo la scritta sopra l’entrata del cimitero dei militari polacchi di Montecassino: »Passante, di’ alla Polonia che siamo caduti fedeli al suo servizio«. Mi ricordo come il fuoco dei tedeschi decimava la mia unità sulla collina 593. I tedeschi, al nostro attacco, risposero con un fuoco preciso e fortissimo, mi ricordo i lamenti dei compagni feriti e morenti. Della mia squadra in quel momento sopravvissero due persone – io e un compagno. Quando arrivava il momento di interruzione della battaglia, a questo punto comparivano gli infermieri. Raccoglievano iferiti, non avevano tempo per portare via i caduti. Loro venivano portati via solo dopo la battaglia però spesso non era più possibile identificare a chi appartenevano le spoglie… Io rimasi in quell’inferno per venti giorni. Alcune volte fui leggermente ferito però allora non me ne preoccupavo per niente.”

Ulano Józef Kowalczyk, anno 1944A Varsavia ho trovato anche il colonello Antoni Łapiński. Già dal primo momento dell’incontro si sono manifestati il suo senso dell’umorismo e la sua serenità. Il colonello come soldato giovane ha svolto il servizio presso la 3a Divisione dei Fucilieri dei Carpazi e così ricordava il giorno del loro trionfo del 18 maggio 1944: “Per me fu una giornata particolarmente allegra. La mattina presto le nostre truppe arrivarono alle rovine dell’abbazia di Montecassino. Verso le nove di sera ero nelle vicinanze della Casa del Dottore e stavo guardando le macerie dell’abbazia. La notte riuscii a dormire per circa tre ore posando la testa sulla borsa medica. Improvvisamente notai che nel sentiero da parte della Gola stava arrivando un gruppetto di sette soldati guidati da un ufficiale. Quando si avvicinarono a distanza di qualche decina di metri, nel sottotenente riconobbi mio fratello Józef! Il suo aspetto era uguale a quello di qualche anno prima, dopo la liberazione dalla katorga – dimagrito, non rasato, con la divisa strappata e sporca. Non era importante però rispetto al fatto che mio fratello era sopravvissuto! E nel salutarmi mostrò i suoi soldati e mi disse: »Guarda quanti soldati vivi sono riuscito a raccogliere dopo l’assalto del mio plotone alla Masseria Albaneta e alla Gola«. Il plotone prima della battaglia constava di trenta soldati e apparteneva al 6° Battaglione di Fanteria della 2a Brigata dei Carpazi. Quando incontrai il fratello un’altra volta venne fuori che tra i vivi c’erano ancora un’altra decina di soldati del plotone – in totale erano sopravvissuti diciotto di loro. Gli altri diedero le loro vite sulle pendici del monte di Cassino sulle quali crescevano papaveri rossi”.

Quando Maciek Chełmicki nel film Cenere e diamanti riempie i bicchieri con la vodka, al contempo parlando con il suo amico Andrzej, in secondo piano Sława Przybylska canta Papaveri rossi su Montecassino. Maciek manda i bicchieri sul banco ad Andrzej, accende la vodka, mentre Andrzej elenca uno per uno i nomi dei compagni caduti – Haneczka, Wilga, Kossoudzki, Rudy, Kajtek… Non lascia che Maciek accenda i due ultimi bicchieri di vodka dicendo: - Noi siamo in vita. Maciek scoppia a ridere. E si sente di nuovo il canto di Przybylska: “E sono andati come sempre testardi, come sempre per combattere per la Polonia”. Dopo ciascuno degli incontri descritti sopra, come dejà vu mi ricordavo la scena del capolavoro di Andrzej Wajda. Grazie ai miei eroi – nonostante le loro proteste userò questa espressione – ho vissuto la scena veramente!

Piotr Korczyński

autor zdjęć: CAW, NAC

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